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La presenza ebraica a Senigallia dalle origini ai nostri giorni - il Ghetto

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Il ghetto di Senigallia

Guidati da Ettore Coen siamo arrivati alla terza puntata del viaggio nella storia della presenza ebraica a Senigallia, una presenza che nei secoli per la città ha rivestito un'importanza straordinaria. Dopo la premessa e l'arrivo degli Ebrei in città è il momento di entrare nel ghetto.

Purtroppo la morte nel 1631 di Francesco Maria II della Rovere che non aveva eredi, fece si che il Ducato di Urbino venisse incorporato nello Stato Pontificio.
Da Senigallia, venne subito inviata a Roma una delegazione con la richiesta che agli Ebrei, indispensabili per l’economia cittadina, venisse concesso di continuare nelle loro attività; Papa Urbano VIII invece, oltre ad istituire sedi locali del Tribunale dell’Inquisizione, ordinò che anche nei territori dell’ex Ducato, venissero istituiti 3 ghetti per raccogliere tutti gli Ebrei sparsi nei centri minori: Senigallia, Pesaro, Urbino.

Un editto del 1633, qui di seguito riportato, regolava la vita degli Ebrei all’interno di questi:
1 Che niun Ebreo possa metter fuori del ghetto case e botteghe o alcuna parte di esse, se non con l’ordine nostro:
2 Che gli Ebrei non possano guastare soffitti, volte, camini, scale, aditi o altre comodità ed imporre alcuna servitù e facendo che gli Ebrei siano obbligati a proprie spese, per portare ogni cosa al loro pristino stato;
3 Che li portoni del ghetto debbano serrarsi la sera, dopo di che non sia lecito ad alcun Ebreo star fuori di esso, sotto pena delle carceri e di scudi 25, se non fosse per qualche urgente e legittima causa e, serrato che sarà il ghetto, non debba lasciare uscire nessun Ebreo;
4 Che il ghetto debba stare serrato per tutto il tempo della Settimana Santa, che le campane staranno legate e senza suonare, né in questo tempo sia lecito ad alcun Ebreo uscire dal ghetto senza particolare licenza, né affacciarsi alle finestre, nei luoghi che guardano fuori dal ghetto, né debbano tenerle serrate con vetri o impannate;
5 Che niun cristiano di qualsivoglia sesso, condizione, età, che abbia l’uso di ragione, ardisca sotto qualsiasi pretesto prestare agli Ebrei alcuna servitù fissa;
6 Che niun cristiano dell’uno o dell’altro sesso possa mangiare o bere con gli Ebrei anche per brevissimo tempo e in qualsivoglia luogo pubblico.


Venne esteso anche nei territori dell’ex Ducato, l’obbligo del segno di riconoscimento, vale a dire un nastro giallo sul cappello.
Il ghetto venne quindi edificato nell’attuale piazza Simoncelli ed era munito di 4 cancelli (alcune notizie riportano 3), che venivano chiusi la sera e riaperti all’alba da un Cristiano.
Venne edificata una nuova Sinagoga nel 1634 (quella tuttora esistente), poiché quella preesistente, essendo ubicata in via Arsilli, si trovava fuori dai confini del ghetto.

La scelta dell’ubicazione del ghetto non fu casuale; il cancello sito tra gli attuali Portici Ercolani e piazza Manni, si apriva direttamente sul lungofiume che all’epoca costituiva il portocanale di Senigallia quindi in posizione strategica per il carico/scarico delle merci commercializzate dagli Ebrei che rimanevano in ogni caso i pilastri dell’economia senigalliese.
I traffici mercantili continuarono senza sosta e sempre con maggior prosperità visto i rapporti commerciali che gli Ebrei senigalliesi intrattenevano con quelli della Dalmazia e della Repubblica di Ragusa.

Nel Settecento Senigallia poiché Porto Franco acquisisce notorietà in tutta Europa tanto che in tempi di Fiera (e non solo) aprono numerosi Consolati esteri e più precisamente quelli di Svezia, Prussia, Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Inghilterra, Repubblica di Venezia, Turchia, Malta, Spagna, Regno di Napoli e Ducato di Toscana.

Per tutti questi motivi, nonostante le inevitabili restrizioni a cui erano soggetti, la vita per gli Ebrei a Senigallia, per quanto dura, lo era sempre meno che in altre località.
Non di rado infatti venivano compiuti ai danni degli Ebrei veri e propri massacri per i motivi più disparati.
A volte bastava che un Signorotto locale non riuscisse a far fronte ai debiti contratti con i banchieri Ebrei, per scatenare un vero e proprio eccidio; morto il creditore, estinto il debito.

Altre volte bastava il diffondersi di epidemie a cui gli Ebrei sembravano immuni, per scatenare la caccia all’”Ebreo avvelenatore di pozzi”.
Nella realtà, era l’osservanza delle norme alimentari ebraiche (Kasheruth), a mettere gli israeliti al riparo da intossicazioni e/o malattie.
Queste norme alimentari infatti prevedono tra l’altro la macellazione degli animali con determinate modalità, il divieto di cibarsi di carne di maiale, frutti di mare ecc. ecc..

Uno dei problemi che gli Ebrei dovettero affrontare a Senigallia era il prezzo dei canoni di locazione.
Dovendo necessariamente vivere all’interno del ghetto, e non potendo possedere per legge beni immobili, erano tutti condannati a pagare l’affitto ai Cristiani proprietari delle case, i quali, consapevoli dell’inevitabilità della cosa, pretendevano canoni sempre più elevati.

Il Ghetto era sovrappopolato, basti pensare che nel 1753 vennero censiti 650 Ebrei residenti che salivano a 1.000 in tempo di Fiera, nell’attuale piazza Simoncelli.
La carenza di spazio era così evidente che per “Sukkot” (*) si dovevano costruire le capanne sui tetti delle abitazioni.

D’altro canto un numero così elevato aiuta meglio a comprendere quanto numericamente consistente fosse la presenza ebraica a Senigallia e come la storia di questa Comunità si intrecci con quella della città.
Per rendersene meglio conto basta analizzare i numeri: in quegli anni 650 erano gli Ebrei residenti (1.000 in tempo di Fiera) su 5.000 abitanti; oggi gli Ebrei a Senigallia sono circa 25 su 45.000 abitanti; nelle Marche sono circa 150 su 1.565.000 (il nucleo più consistente si trova in Ancona seguito da Senigallia); in Italia circa 30.000 su 60.000.000; nel mondo 12.800.000 su 7.000.000.000.

La prima parte de "La presenza ebraica a Senigallia dalle origini ai nostri giorni": "Premessa" è stata pubblicata lunedì 20 febbraio.
La seconda parte de "La presenza ebraica a Senigallia dalle origini ai nostri giorni": "Come, quando e perché gli Ebrei arrivarono a Senigallia" è stata pubblicata lunedì 27 febbraio.
La quarta ed ultima parte: "Le persecuzioni" sarà pubblicata lunedì 12 marzo.

(*) Sukkot: Festa ebraica durante la quale gli ebrei abitano per otto giorni in delle capanne appositamente costruite, per ricordare la permanenza dei loro avi nel deserto, dopo l’esodo dall’Egitto.

Nota: Circa 30 anni fa, mi fu riferito che l’attuale via Capanna prende questo nome in quanto in tempi remoti gli ebrei vi erano soliti costruire le capanne per la festa di “Sukkot” e quindi veniva comunemente denominata “La via delle Capanne”.
Non sono però mai riuscito a verificare la veridicità ed attendibilità della notizia. Mi limito qui a riportarla così come l’ho appresa, facendo però notare che in via Capanna era ubicato il vecchio cimitero ebraico e che quindi la storia potrebbe essere fondata.



Il ghetto di Senigallia

Questo è un articolo pubblicato il 02-03-2012 alle 18:30 sul giornale del 05 marzo 2012 - 11029 letture