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Ma come, quando e perché gli Ebrei arrivarono a Senigallia?

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Il ghetto di Senigallia

Continua il viaggio di Ettore Coen nella storia della presenza ebraica a Senigallia, una presenza che nei secoli per la città ha rivestito un'importanza straordinaria. Dopo la premessa ecco la seconda parte sull'arrivo degli Ebrei in città.

La datazione della presenza ebraica a Senigallia non è certa anche se è probabile che, al pari di Ancona, alcuni vi si stanziarono già dai tempi dell’Impero Romano. I primi documenti ufficiali che testimoniano la presenza di un ebreo a Senigallia, tal Sabbatuzio, risalgono però al 1408 e riguardano l’istanza da questi fatta per poter gestire un banco di prestito.
Negli anni successivi moltissimi altri vi si stabilirono grazie anche ad eventi favorevoli.

Per comprendere meglio tutto ciò, bisogna innanzi tutto analizzare la situazione in cui Senigallia versava in quegli anni.
Già Dante Alighieri nel XVI Canto del Paradiso, annovera Senigallia tra le città decadenti con i seguenti versi:
Se tu riguardi Luni et Urbisaglia/ come son ite e come se ne vanno/ di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,/ udir come le schiatte si disfanno/ non ti parrà nova cosa né forte,/ poscia che le cittadi termine hanno”.

Anche il Boccaccio ed il rimatore aretino Cenne della Chitarra dedicano dei versi alla città di Sinigaglia facendo riferimento all’aria malsana che vi si respira.
Il riferimento è ovviamente alla malaria, diffusasi a causa dell’impaludamento delle saline, ubicate nell’omonimo odierno quartiere, verificatosi a causa dell’abbandono di quest’ultime da parte dell’uomo, tanto che in una relazione del XIV secolo si può leggere: “Le saline son tutte deserte e non vi si fa più nulla”.

Oltre a ciò i legami commerciali con Venezia a discapito della vicina Ancona, faranno si che l’autorità pontificia faccia abbattere più volte le mura cittadine, senza contare le continue guerre tra Guelfi e Ghibellini a cui Senigallia non riuscirà a sottrarsi.

Nel 1353, i Malatesti, signori di Senigallia, vengono sconfitti dalle truppe del papa Innocenzo IV, comandate dal cardinale Albornoz. Questi in una relazione sulle Marche annota 250 “fumanti” per Senigallia, contro i 2.500 di Pesaro, i 4.500 di Fano e i 1.200 di Arcevia. Per “fumanti” si intendeva famiglie, considerando simbolicamente i camini accesi delle case abitate.

Solo nel 1379 con il ritorno della città ai Malatesti inizia la ripresa e, per favorire il ripopolamento, il Malatesti promette l’immunità “…..e che li debiti che avessero quelli, che venivano ad abitare in questa città non potessero esser astretti, né convenuti per niun tempo mai” inoltre promette che ai nuovi arrivati “…… gli saria donato terreno per un paro di bovi, sito e legname per far case nella cittade et esente saria per dieci anni (dalle tasse) donandoli a presso un par di bovi, acciò potessero lavorare li terreni donati”.

A ripopolare la città furono quindi persone, anche con conti in sospeso con la giustizia, provenienti da Bergamo, Ferrara, Firenze, Milano, Napoli, Venezia, Mantova, Verona, Modena, Bari, finanche dalla Turchia e dalla Schiavonia; forse l’odierna presenza a Senigallia di cognomi come “Turchi” e “Schiavoni”, trae origine proprio da questo.
La liberalità del Malatesti attirò anche molti Ebrei, per i motivi qui di seguito riportati, vessati e perseguitati altrove, tanto da dar origine al detto “Sinigaglia, mezza ebrea mezza canaglia”.

Agli Ebrei era stato fatto divieto di possedere beni immobili, come case e terreni, che pertanto dovettero essere venduti (o meglio svenduti) pena la confisca. Questo fatto determinò il possesso di denaro liquido.
Agli Ebrei era altresì vietato di esercitare forme di commercio “elevato” e l’industria.
Ai Cristiani viceversa, era proibito dal processo evangelico”Mutuum date, nihil inde sperantes” (date il prestito senza sperare niente in cambio), il prestito con interesse.

La concomitanza di questi due eventi fece si che gli Ebrei divennero prestatori di denaro su pegno e commercianti di oggetti usati, attività guardate all’epoca con disprezzo e considerate spregevoli.

Senigallia quindi, si trovò ben presto ad aver bisogno degli Ebrei quali prestatori di denaro, tanto che L’Ebreo prestatore divenne un pubblico ufficiale; bisogno tanto più sentito nel periodo della Fiera Franca.
Il Comune quindi cercò di agevolare in ogni modo l’insediamento di Ebrei anche perché questi avendo contatti e commerci con altri Ebrei, soprattutto levantini (ad es. Costantinopoli e Salonicco), potevano incrementare i traffici di merci e dare nuova vita al porto.

Nel 1459, Sigismondo Malatesti, è costretto a cedere Senigallia al Papato, a saldo di un debito di 60.000 scudi da lui contratto.
Tenterà nel 1462 di riprendersi la città con la forza, ma verrà sconfitto da Federico di Montefeltro al Cesano e scomunicato da papa Pio II.
Nel 1474 è la volta di Giovanni della Rovere di diventare Signore di Senigallia.

Pochi anni più tardi, nel 1492, gli Ebrei vennero espulsi dal Regno di Spagna, dal Regno di Sicilia e dal Regno di Napoli, nel 1496 dal Portogallo.
Questo fatto determinò un’ondata migratoria dal sud verso il nord e Senigallia fu una delle città in cui molti Ebrei decisero di stanziarsi anche per via della Fiera che stava assumendo sempre maggior rilevanza (questo è il motivo per cui ancora oggi, nel nostro paese, ad eccezione di quella di Napoli ricostituitasi dopo l’unità d’Italia, non esistono comunità ebraiche più a sud di Ancona sul versante adriatico e più a sud di Roma su quello tirrenico).

Nel 1555 poi, avvenne un fatto di enorme rilevanza: lo Stato Pontificio decretò che tutti gli Ebrei residenti sul suo territorio dovessero vivere nei ghetti e se ne approntarono 2: uno a Roma, l’altro ad Ancona.

Sempre ad Ancona, sempre nello stesso anno, 25 marrani (Ebrei convertiti a forza ma rimasti nel loro intimo di fede israelita), 24 uomini ed una donna, vennero bruciati al rogo in piazza Malatesta (oggi c’è una lapide a ricordo dell’eccidio).
Tutti coloro che temevano per la propria incolumità o che non volevano assoggettarsi a vivere nel ghetto fuggirono, e la città più vicina ove quest’obbligo non sussisteva, era appunto Senigallia in quanto facente parte del Ducato di Urbino.
Inoltre per punire la città di Ancona del massacro, gli Ebrei levantini decisero di boicottare il porto di Ancona decretandone l’embargo a favore del porto più prossimo e cioè quello di Senigallia.

Questo evento contribuì allo stanziamento in città di altri commercianti Ebrei, vista anche la disponibilità di Guidubaldo II della Rovere che intravedeva in tutto ciò un considerevole sviluppo economico per Senigallia (risulta in tal senso che il Duca stipulò un vero e proprio accordo con i fuggiaschi: dirottamento a Senigallia e Pesaro di tutto il traffico di merci dal levante, in cambio di permesso di residenza).

Furono quelli anni prosperi per gli israeliti dediti all’attività di prestatori di denaro (forse i termini “banca” e “banchiere” derivano proprio da “banco di pegni”) ed il commercio di roba usata, la cosiddetta “strazzaria” che voleva dire “vendere et far vendere, tagliare, casere, adaptare e scavezzare panni di lino, lana et altra sorta di robbe e far così de novo come de vecchio”.

Lo stesso Duca venuto a conoscenza dei maltrattamenti subiti dagli Ebrei, stabilì che era proibito “a qualsivoglia persona di qualsivoglia grado di far molestia e offendere in qualsivoglia modo e sotto qualsivoglia pretesto essi Ebrei, sotto pena di cento scudi e della galera ad arbitrio per ciascheduno”.

La prima parte de "La presenza ebraica a Senigallia dalle origini ai nostri giorni": "Premessa" è stata pubblicata lunedì 20 febbraio.
La terza parte: "Il ghetto" sarà pubblicata lunedì 5 marzo.
La quarta ed ultima parte: "Le persecuzioni" sarà pubblicata lunedì 12 marzo.



Il ghetto di Senigallia

Questo è un articolo pubblicato il 24-02-2012 alle 23:44 sul giornale del 27 febbraio 2012 - 11167 letture